LA CORTE DI APPELLO

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nel procedimento penale
contro Valdez Rodriguez Milton Cesar.
    Con  sentenza  del  Tribunale di Camerino in data 20 gennaio 2005
veniva  assolto  dall'imputazione  di  lesioni volontarie aggravate e
porto abusivo di arma da taglio commesso in San Severino Marche il 30
novembre 2002.
    Nel provvedimento osservava, in particolare, che l'imputato aveva
agito per legittima difesa.
    Avverso   detta   sentenza   presentava   tempestivo  appello  il
Procuratore  della  Repubblica  di  Camerino chiedendo venisse invece
affermata  la  penale  responsabilita'  dell'imputato,  rilevando  la
insussistenza della legittima difesa.
    Alla  odierna  udienza  il Procuratore Generale, preso atto della
sopraggiunta  legge  20  febbraio  2006 n. 46 che aveva introdotto la
inappellabilita'  da  parte del Pubblico Ministero, delle sentenze di
proscioglimento,  eccepiva  la  illegittimita'  costituzionale  degli
artt. I  e I0 della citata legge, per contrasto con gli artt. 3 e III
della Costituzione.

                            O s s e r v a

    L'art. 1  della  legge  n. 46  del  20  febbraio 2006, entrata in
vigore  il 9 marzo 2006, ha modificato l'art. 593 c.p.p. nel senso di
precludere  al  Pubblico  Ministero  di  proporre  appello avverso le
sentenze  di  proscioglimento  (salvo  l'ipotesi eccezionale di nuove
prove decisive, non verificatasi nel presente processo).
    L'art. 10  della stessa legge n. 46/2006 prevede poi che la legge
trovi  applicazione  anche  per i procedimenti in corso, imponendo al
giudice  innanzi al quale pende l'appello proposto prima dell'entrata
in  vigore  della  novella,  di emettere ordinanza non impugnabile di
inammissibilita' dell'appello.
    Evidente, pertanto, e' la rilevanza diretta nel presente giudizio
della   questione   proposta   dal   Procuratore  Generale  dovendosi
senz'altro  applicare  nel  procedimento in esame la nuova disciplina
della cui legittimita' costituzionale il Procuratore Generale dubita.
    Altrettanto  deve concludersi in ordine all'ulteriore presupposto
della non manifesta infondatezza della questione.
    L'art. 111,  secondo  comma  Cost.  dispone  che il processo deve
svolgersi  nel  contraddittorio  tra  le  parti,  «in  condizioni  di
parita»,  davanti  a  giudice  terzo ed imparziale -- la disposizione
censurata dal Procuratore Generale aveva indotto il Capo dello Stato,
prima  della  sua  definitiva  approvazione,  a  chiedere  una  nuova
deliberazione  al Parlamento sotto vari profili ed anche a motivo che
le  asimmetrie tra accusa e difesa costituzionalmente compatibili non
dovevano  mai travalicare i limiti fissati dal citato art. 111 Cost.;
la  norma  in esame invece non sembra compatibile con il principio di
ragionevolezza,  desumibile  dall'art. 3  della  Cost., perche' senza
plausibile  ragione  pone le parti del processo su un piano di palese
disparita'   sulla   base   dell'assioma,   contrario  all'esperienza
giudiziaria  ed  alla  dialettica  processuale,  che sempre esista un
ragionevole  dubbio  in ordine alla responsabilita' dell'imputato sol
perche'  il giudice di prima istanza abbia ritenuto la sua innocenza,
escludendo  a  priori  che quello stesso giudice che puo' sicuramente
errare  nell'accertare  la  responsabilita'  penale dell'imputato non
puo' mai (si sottolinea: mai) fallire nell'affermarne l'innocenza;
        -   la   riforma,   dunque,   ha   varcato   i  limiti  della
ragionevolezza  sottraendo  ad  una sola delle parti del processo, al
Pubblico   Ministero,   uno  strumento  processuale  volto  a  vedere
affermata  nel  giudizio  la  sua pretesa punitiva, pretesa che trova
esplicita   legittimazione   costituzionale   al   pari   di   quella
dell'imputato, che invece, con la riforma, rimane pienamente titolare
del  potere di impugnare la decisione a lui sfavorevole, la qual cosa
viola  il ridetto principio posto dall'art. 111 Cost. che prevede che
il  processo  si  svolga  in condizioni di parita' di tutte le parti,
cioe'  in  una  condizione di diritto che assicuri a ciascun soggetto
processuale  uguali  strumenti  per  raggiungere  gli  obiettivi suoi
propri,  fatta  salva la presunzione di innocenza che tuttavia non e'
una  presunzione  assoluta, come sembra affermarsi con la riforma, ma
relativa  potendo  essere  superata  dalla  prova  processuale  della
colpevolezza  -  vi  e'  poi  da aggiungere che la riforma si applica
indifferentemente  a  tutti  i  tipi  di giudizio e persino contro le
sentenze  emesse  ex art. 428 c.p.p. laddove il patrimonio probatorio
valutabile  non  e'  neppure  definitivamente stabilizzato ed e' solo
prospetticamente apprezzato;
        -   peraltro   la   nuova   disciplina   crea  una  ulteriore
irragionevole   disparita'   di  trattamento  laddove  per  un  verso
impedisce  al  Pubblico  Ministero  l'appello  contro  le sentenze di
proscioglimento  e  per  altro mantiene la possibilita' per lo stesso
Pubblico  Ministero di appellare la sentenza di condanna, in tal modo
tutelando un interesse processuale di ben minore consistenza;
    Sotto  altro  profilo  costituzionale,  si  osserva che l'art. 24
della  Cost.  garantisce  il  diritto di difesa di tutte le persone e
dunque  non sono solo il diritto di difesa degli imputati ma anche il
diritto  delle parti offese dei reati; l'esercizio dell'azione penale
del  Pubblico  Ministero  spiega  anche la funzione (ne cives ad arma
veniant)  di  offrire  alle vittime dei reati l'essenziale tutela del
loro  interesse  ad  ottenere  giustizia,  a  prescindere dal ristoro
patrimoniale   che  non  puo'  dirsi,  per  un  elementare  principio
etico-giuridico,  di  per se' compensativo dell'offesa subita, questo
legittimo   interesse   ad   avere   la   tutela  dello  Stato  viene
irragionevolmente  compresso attraverso la limitazione del diritto di
appello del Pubblico Ministero, peraltro con il concreto pericolo che
sia  affermata in sede penale l'innocenza di una persone riconosciuta
da altro giudice civilmente responsabile del medesimo fatto di reato;
la  monetizzazione  del  reato  inoltre  creerebbe  un  intollerabile
divario  tra  i  cittadini  in relazione al reddito ed alla capacita'
patrimoniale dell'autore dell'illecito;